Enrico V

All'arrivo di Saunière a Rennes le Château, la questione della successione dinastica nella casa reale francese si era alquanto complicata.

Luigi XVIDopo la morte dei due principali membri della famiglia dei BORBONE, LUIGI XVI ed il figlio primogenito LUIGI CARLO, dopo l'instaurazione del primo Impero ed appena uscito di scena NAPOLEONE I, la Restaurazione aveva fatto rientrare dall'esilio la vecchia dinastia borbonica ed era salito al trono il fratello del re ghigliottinato, LUIGI XVIII.

Alla morte di quest'ultimo (1824) gli era succeduto al trono un altro fratello, il conte d'ARTOIS, CARLO X, che, ancor più dei suoi predecessori aveva tentato di ripristinare in Francia l'Ancien Regime - l'assolutismo dispotico dei vecchi tempi - con una politica di forte reazione. L'opposizione liberale aveva avuto la meglio nelle elezioni del 1830 ma il re si era rifiutato di ratificare i risultati emettendo le famose "quattro ordinanze". Quei provvedimenti scatenarono, a partire dal 27 luglio, una rivolta generale e Carlo X, fu costretto ad andare in esilio e ad abdicare (2.8.1830) in favore del figlio LUIGI duca D'ANGOULEME; a sua volta questi rinunciò al trono in favore del nipote, figlio del fratello minore: fu la fine della dinastia borbonica.

Henri Charles Ferdinand Marie Dieudonné d'ArtoisL'ultimo discendente legittimo della famiglia reale francese divenne, dunque, il nipote di Carlo X, ENRICO conte di CHAMBORD e duca di BORDEAUX, nato dal matrimonio di CARLO d'ARTOIS - duca di BERRY assassinato nel febbraio del 1820 - con MARIA CAROLINA, figlia di FRANCESCO I, re delle Due Sicilie e di MARIA CLEMENTINA D'ASBURGO.
Rattristata e prostrata dal terribile evento dell'assassinio del marito, dopo pochi mesi, il 29 settembre 1820, Maria Carolina era stata costretta a partorire di fronte a testimoni imparziali che dovevano attestare che il nascituro era effettivamente "il figlio del miracolo", così come l'aveva definito lo scrittore e poeta FRANÇOIS RENÉ DE CHATEAUBRIAND, grande estimatore ed amico di Madame. Prima del parto essa rivolse all'ostetrico l'invito a ricordare che il bambino che essa portava in grembo «è figlio della Francia: quindi contrariamente all'uso costante, in caso di pericolo non esitate a salvare lui, anche a pena della mia vita».

Questi due episodi segnarono una svolta decisiva nella vita di Madame: in avvenire essa non agirà più per sé stessa, ma come madre del futuro Re di Francia e come futura Reggente se il figlio avesse dovuto giungere al trono prima della maggiore età. A questo scopo essa dedicherà tutta la sua esistenza senza mai deflettere dalle avversità.
In particolare ciò accadde quando, nel luglio 1830, il figlio Enrico di otto anni, dopo l'abdicazione in suo favore del nonno e dello zio, divenne l'erede al trono: Maria Carolina non accettò di essere separata dal figlio e, in virtù delle antiche leggi della monarchia francese, volle governare come Reggente in nome del figlio minore.
I francesi monarchici si divisero in due fazioni: quella degli ORLEANISTI che ebbe il sopravvento e che, stanca delle retrive posizioni della famiglia borbonica, elesse luogotenente del regno il più disponibile LUIGI FILIPPO DI ORLEANS, Conte di Parigi, dal quale aveva ricevuto la garanzia dell'instaurazione di una monarchia costituzionale (14.8.1830). Infatti, Luigi Filippo - figlio di LUIGI EGALITÉ - non discendeva dalla linea diretta della famiglia borbonica ma da quella cadetta iniziata dal fratello minore del Re Sole, FILIPPO I duca D'ORLEANS.

La seconda fazione, quella dei LEGITTIMISTI, continuò, invece, a considerare i rappresentanti della dinastia borbonica come gli unici sovrani legittimi di Francia: per loro il trono spettava di diritto al conte di Chambord che avrebbe potuto regnare con il titolo di ENRICO V. Madre e figlio, quindi, dopo l'ascesa al trono di Luigi Filippo, furono costretti all'esilio in Inghilterra.
La Duchessa fu oggetto di frequenti visite da parte dei suoi sostenitori che giungevano dalla Francia e che, un po' per convinzione, ma assai più per adulazione, le facevano comparire come una certezza, o quasi, il ritorno imminente in patria che, invece, non era che una vaga speranza non suffragata dai fatti. Madame si trasferì poi nel Ducato di Modena. Luigi Filippo ed il suo governo seguivano con apprensione i suoi movimenti temendo che essa riuscisse a suscitare nel paese, com'era nelle sue intenzioni, un movimento insurrezionale che minasse le basi non troppo solide del nuovo regime.

Dopo il suo arrivo a Massa, Maria Carolina riprese a tessere le fila dei contatti con persone e movimenti a lei favorevoli. La notte tra il 23 ed il 24 aprile 1832 Madame con il suo seguito s'imbarcò clandestinamente su una nave che portava il nome di CARLO ALBERTO (suo simpatizzante che aveva finanziato il movimento con la somma di 780.000 franchi presi dal patrimonio privato del Sovrano): la nave si diresse verso Marsiglia, città che doveva insorgere in suo favore. La Duchessa, travestita da marinaio, sbarcò su una spiaggia deserta e trascorse il resto della notte nella capanna di un guardiacaccia.

La mattina seguente giunse inattesa la dolorosa notizia che la rivolta era fallita. Dopo un primo momento di smarrimento essa reagì subito e cambiò il proprio piano di insurrezione trasferendolo dal MIDI alla VANDEA, la cui fedeltà alla monarchia era stata dimostrata dalla rivolta della popolazione durante il periodo rivoluzionario.

Recatasi in quella regione, Madame riprese i contatti con il suo amico e fiduciario Barone CHARETTE, per elettrizzare con la sua presenza i combattenti. Purtroppo il rinvio della data dell'insurrezione, col relativo contrordine che spesso non giungeva a conoscenza della sua formazione, compromise l'esito della rivolta e le azioni isolate intraprese dalle forze ribelli volsero sempre a favore delle truppe governative.
L'impari lotta ebbe termine dopo sei giorni di sparatorie, massacri ed arresti, colla disfatta totale dei legittimisti, non organizzati e male armati mentre la Duchessa, rifugiatasi in un luogo sicuro a Nantes, venne tradita da uno dei suoi; arrestata dal generale DERMONCOURT fu imprigionata nella fortezza di BLAYE presso Bordeaux (15.11.1832).

Nel giugno del 1833 il governo di Parigi rimise in libertà Madame ed ai primi di luglio la nave "Agathe" la condusse nella rada di Palermo dove ad attenderla c'era il suo nuovo sposo ETTORE LUCCHESI PALLI: l'avventura politica di Maria Carolina, dichiaratasi Reggente di Francia in nome del figlio minore Enrico, si era chiusa.

Carlo Luigi Napoleone BonaparteLa divisione dei monarchici tra Legittimisti ed Orleanisti si protrasse anche negli anni successivi al fallito tentativo della conquista del trono da parte di Maria Carolina anche quando NAPOLEONE III, nipote di Bonaparte prese il potere e, poi, come il nonno, instaurò di nuovo l'Impero (1851).
Un'altra buona occasione si ripresentò a favore di Enrico, ormai quinquagenario, dopo la battaglia di SEDAN, quando Napoleone III fu costretto ad abbandonare il trono (1870).

Le elezioni generali del febbraio 1871 portarono ad una formazione di un'Assemblea Nazionale conservatrice con la maggioranza dei deputati favorevoli alla restaurazione della monarchia - quasi tutti fautori della fazione legittimista - che volsero, quindi, la loro attenzione verso il pretendente legittimo al trono: il conte di Chambord.
Enrico aveva vissuto, dall'età di dieci anni, esule in Austria, dove aveva sposato una principessa straniera della famiglia degli Asburgo, MARIA TERESA e non conosceva la realtà del suo paese ed a cui guardava con nostalgia del passato preso dall'illusione di poter restaurare una monarchia di diritto divino. Spiazzò, quindi, i suoi stessi sostenitori esigendo che, se veramente i Francesi lo avessero voluto sul trono, avrebbero dovuto prima rinunciare alla bandiera tricolore. Ecco cosa scrisse, una prima volta, nella lettera del 24.5.1871 indirizzata al marchese de LA FERTÉ MEUN:

La question du drapeau n'est pas seulement pour moi une répugnance trop facile à comprendre, c'est une question de principe. Avec l'emblème de la Révolution il me serait impossible de faire aucun bien, de réparer aucun mal. Pourquoi tient-on tellement à ce que je prenne les couleurs qui ont présidé à tant de crimes, qui ont toujours été le signalement du renversement de la monarchie légitime? Si cela ne représente rien, il n'y a aucune raison d'attacher de l'importance à une couleur plutôt qu'à une autre et je puis conserver la mienne. Mais si au contraire cela représente tout un ordre d'idées, et je le pense ainsi, je ne dois pas, je ne veux pas abandonner le drapeau de mes pères, qui pour moi veut dire : Respect pour la religion, protection de tout ce qui est juste, de tout ce qui est bien, de tout ce qui est le droit, uni à ce que demandent les exigences de notre temps. Tandis que le drapeau tricolore représente la Révolution sous toutes ses faces et qu'en outre il remplit les arsenaux de l'étranger, son vainqueur.

e, ancor più esplicitamente, nel manifesto del 6.7.1871:

Dieu aidant, nous fonderons ensemble, et quand vous le voudrez, sur les larges assises de la décentralisation administrative et des franchises locales, un gouvernement conforme aux besoins du pays. (...)
[La France] m'appellera, et je reviendrai à elle tout entier, avec mon dévouement, mon principe et mon drapeau. A l'occasion de ce drapeau, on m'a parlé de conditions que je ne dois [veux] pas subir.
Français! (...) Entre vous et moi, il ne doit subsister ni malentendu, ni arrière-pensée. Non, je ne laisserai pas, parce que l'ignorance ou la crédulité auront parlé de privilèges, d'absolutisme et d'intolérance, que sais-je encore? de dîme, de droits féodaux, fantômes que la plus mauvaise foi essaie de ressusciter à vos yeux, je ne laisserai pas arracher de mes mains l'étendard de Henri IV, de François Ier et de Jeanne d'Arc. C'est avec lui que s'est faite l'unité nationale; c'est avec lui que vos pères, conduits par les miens, ont conquis cette Alsace et cette Lorraine dont la fidélité sera la consolation de nos malheurs. (...) Je l'ai reçu comme un dépôt sacré du vieux roi, mon aïeul, mourant en exil; il a pour moi toujours été inséparable du souvenir de la patrie absente; il a flotté sur mon berceau, je veux qu'il ombrage ma tombe. Dans les plis glorieux de cet étendard sans tache, je vous apporterai l'ordre et la liberté. Français, Henri V ne peut abandonner le drapeau blanc d'Henri IV!.

Dopo il disastro del 1870, dopo la Comune, non si è capito per quale ragione una camera monarchica non aveva potuto restaurare la monarchia nella persona del conte di Chambord del quale papa PIO IX diceva: «tutto ciò che egli dice è ben detto; tutto ciò che egli fa è ben fatto». Ma Enrico V aveva proclamato:

Perché la Francia sia salva bisogna che Dio ne rientri in possesso, perché io vi possa regnare da Re!

(al conte di Mun, 20.11.1878);

La Verità ci salverà, ma la Verità integra. Sì, l'avvenire è degli uomini di fede, ma alla condizione di essere nello stesso tempo uomini di coraggio, non temendo di dire in faccia alla rivoluzione trionfante ciò che essa è nella sua essenza, e alla contro rivoluzione ciò che deve essere nella sua opera di riparazione e di acquietamento.

e, quindi, veniva considerato l'ultimo re dei Borboni che desiderava di andare al trono solo per essere il re più cristiano della Contro rivoluzione.
Il suo pensiero era in completa opposizione a quello del potere occulto. La Massoneria avrebbe acconsentito, senza dubbio a malincuore, ad una restaurazione monarchica ma solo se questa monarchia non fosse stata cattolica, non potendo accettare un regime fondato sul "servire Dio innanzitutto" e che avrebbe facilitato la missione della Chiesa.
I monarchici dell'Assemblea non volevano ritornare a quei vecchi principi ed i repubblicani vi si erano beninteso totalmente opposti.

Anche i più accaniti sostenitori monarchici non poterono seguirlo su questa strada; il tricolore della Rivoluzione aveva conquistato la sua legittimità col sangue sparso da tutti i Francesi per la Patria sino all'estremità dell'Europa. Il fatto era ancora più costernante, per gli stessi monarchici, perché la bandiera bianca cui faceva riferimento Enrico era stata quella ufficiale della Francia per i soli quindici anni della Restaurazione (1815-1830) mentre, sotto l'Ancien Régime, prima del 1789, non era esistita nessuna bandiera ufficiale della Nazione!.

Bandiera francese, "le Drapeau"I deputati, ancora scioccati dalla richiesta di Enrico, decisero di costituirsi in Assemblea Costituente (31.8.1871) e votarono la prima legge costituzionale con la quale conferirono al capo del potere esecutivo, ADOLPHE THIERS, il titolo di Presidente della Repubblica Francese. Anziano capo dei Conservatori e servitore della monarchia sin dal tempo di Luigi Filippo I, costui si convinse presto che era meglio essere Presidente della Repubblica che primo ministro di un re, anche se costituzionale. Si allontanò, quindi, dai suoi amici monarchici e si avvicinò prudentemente all'idea di una repubblica conservatrice.

Due anni più tardi (1873) i deputati ritirarono la loro fiducia a Thiers che fu costretto a dare le dimissioni e fu rimpiazzato dal maresciallo MAC MAHON - lo sconfitto alla battaglia di Sedan passava per essere un monarchico legittimista - che poteva aprire la strada alla restaurazione e l'occasione venne appena il decesso dell'ex imperatore Napoleone III, morto a seguito di un'operazione a Londra (6.1.1873): il clan dei BONAPARTISTI si alleò a quello monarchico, sempre diviso tra Legittimisti ed Orleanisti.

Dopo numerose esitazioni le fazioni si accordarono su di un semplice piano: il conte di Chambord, senza figli, sarebbe salito al trono ed alla sua morte, che alcuni si auguravano presto, avrebbe ceduto il trono al Conte di Parigi che era giovane e con figli, per cui l'avvenire della monarchia sembrava assicurato.
Una legazione di nove deputati, capeggiata da CHARLES CHESNELONG, si recò a Salzbourg, in Austria, da Enrico, dove credettero che il pretendente al trono fosse ben disposto a trovare un accordo per il colore della bandiera. A Versailles, quindi, L'Assemblea approvò senza alcuna meraviglia il rapporto di Chesnelong e si preparò alla restaurazione della monarchia.

Carrozze, costumi, tutto fu predisposto per il ritorno del futuro re, anche la sfilata d'intronizzazione e la cerimonia d'incoronazione: mancava solo il voto formale dell'Assemblea che era questione di ore. Ma, il 23 ottobre 1873, come una palla di cannone, giunse improvvisa una lettera aperta di Enrico, che rimasto sino a quel momento in silenzio, reiterava ora il suo rifiuto di ogni compromesso sulla vecchia questione della bandiera!.
Nella costernazione più completa il conte DE BROGLIE, capo dei monarchici, e tutti gli altri deputati si trovarono costretti a prorogare il mandato al maresciallo Mac Mahon, nella speranza che, nel frattempo, il conte di Chambord avesse cessato con le sue pretese sulla bandiera tricolore.
La Francia entrò in punta di piedi in un regime repubblicano che era più conservatore di quello del Presidente Thiers e, però, non ebbe mai un Enrico V come re, anche se, non si decise ancora ad ufficializzare la Repubblica.

Enrico abbandonò i suoi sostenitori francesi e, alla sua morte (1883) non avendo avuto figli, la famiglia borbonica francese si estinse (pare fossero infondate le rivendicazioni di un mitomane che alla fine dell'800 pretendeva di essere figlio del duca di Berry e di AMY BROWN).

Con la scomparsa di Enrico si verificò un'ulteriore spaccatura tra i monarchici francesi. Mentre la metà dei Legittimisti si unì agli Orleanisti parteggiando per il Conte di Parigi (chiamati BLANCS D'EU), un'altra si schierò con l'erede non solo materiale di Enrico (i cosiddetti BLANCS D'ESPAGNE). Il conte di Chambord, a dire di questi ultimi, aveva sempre protestato contro coloro che gli presentavano, di volta in volta, i possibili suoi successori mentre aveva sempre incoraggiato chi gli ricordava la legge salica, fondamento del diritto alla successione. L'erede al trono fu, quindi, il dodicesimo figlio dell'infante di Spagna, GIOVANNI (JEAN III), iniziatore della dinastia detta "CARLISTA", nato nel palazzo d'ARANJUEZ il 15 maggio 1822.
Quando in Spagna fu cambiata la legge di successione, Giovanni dovette andarsene in esilio con tutta la famiglia. Tra lui ed il conte di Chambord non intercorrevano, però, buoni rapporti per motivi del tutto privati e non dinastici. Enrico, infatti, avrebbe voluto in sposa l'arciduchessa MARIA BEATRICE D'AUSTRIA ESTE, figlia del duca FRANCESCO IV, ma con suo sommo rammarico, costei gli aveva preferito proprio Giovanni che ella amava ed aveva dovuto ripiegare, per il suo matrimonio, sull'altra sorella maggiore, l'arciduchessa MARIA TERESA.

Giovanni, non riuscì mai a trascinare i legittimisti francesi che erano abituati alle grandi qualità di Enrico verso il quale avevano manifestato sempre una devozione forse anche eccessiva e, dopo i funerali del conte di Chambord, si mantenne in disparte conducendo una vita molto discreta. Solo dopo la sua morte (18.5.1887) si venne a conoscenza di un breve messaggio che aveva destinato ai suoi sostenitori in Francia.

Il figlio maggiore di Giovanni, CARLO duca di MADRID - conosciuto come CARLO VII dai tradizionalisti spagnoli - fu, invece, di ben altra tempra del padre. Nato il 30.3.1848 a LAIBACH, l'odierna LJUBLJANA, si sposò con la cugina MARGHERITA di PARMA, figlia del duca CARLO III e di LUISA d'ARTOIS, sorella di Enrico conte di Chambord.
Nonostante fosse molto coinvolto nel "CARLISMO" spagnolo, non dimenticò mai i suoi interessi verso la Francia e, nel 1868, dichiarò pubblicamente di voler mantenere i suoi diritti al trono francese come successore del cognato Enrico. Fu espulso dalla Francia, nel 1881, a causa della sua acclamazione dal parte del popolo all'uscita della messa nel giorno di sant'Enrico (15.7), celebrata in onore del conte di Chambord. Dal 1887, CARLO (XI per i francesi) si opporrà sempre alle pretese dei principi d'Orleans rivendicando sino alla sua morte (25.5.1909) il primato di capo della famiglia dei Borboni.

Un'ulteriore scissione dei Blancs d'Espagne, avvenne nel 1892, allorché il Papa LEONE XIII aveva invitato i monarchici ad unirsi ai repubblicani nel governo della Nazione. Il Papa aveva voluto avvicinarsi alla Repubblica per ottenere una distensione nella guerra di religione. Egli vi era stato spinto dal suo Segretario di Stato, cardinal RAMPOLLA, ma il Papa verso la fine della sua vita riconobbe di essere stato ingannato, ed il Rampolla stesso venne sospettato di appartenere alla Massoneria.


Bibliografia e Collegamenti

Bollettino informativo di VIVANT - anno 6, numero 42, ottobre 2002

cronologia.leonardo.it

I Borbone

Marxists Internet Archive